Ratifica Trattato costituente il Fiscal Compact e il MES 18.07.12 • Roberto Simonetti

Ratifica Trattato costituente il Fiscal Compact e il MES 18.07.12

Inserita giovedì, 19 Luglio 2012 | da: roberto simonetti
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ROBERTO SIMONETTI. Signor Presidente, ringrazio il signor Ministro per la sua presenza e ringrazio gli onorevoli che sono rimasti qui ad ascoltare questo dibattito che è un dibattito importante per il Paese e non solo. Oggi con questi provvedimenti di fatto stiamo ipotecando la storia economica dei prossimi vent’anni, quindi il futuro delle nostre generazioni e purtroppo l’Aula deserta e il metodo di comunicazione che i media nazionali hanno usato in ordine a queste iniziative fa sì che diventi probabilmente anche un dibattito sterile – purtroppo – malgrado la sua importanza.

Ci troviamo oggi a dover intervenire con tutte queste misure perché sostanzialmente c’è un problema. Qual è il vero problema? La mancata crescita dell’economia europea, una mancata crescita che porta quindi alla recessione, che porta all’aumento del debito pubblico, che porta a dover utilizzare tutti i proventi delle nuove tassazioni e dei risparmi a coprire il debito e non a creare sviluppo. Questo sostanzialmente è il problema centrale del quale dobbiamo prendere coscienza.

Perché non c’è crescita? Perché l’economia è stata drogata negli ultimi trent’anni, negli ultimi quarant’anni da interventi pubblici. Se negli anni Ottanta la crescita era stata drogata con le liberalizzazioni americane e di strutture pubbliche, poi il tutto è stato sostituito dalla bolla immobiliare e finanziaria che ha portato al declino economico di cui stiamo parlando, una bolla immobiliare che ha fatto sì che il contagio dal mondo economico e finanziario venisse a tramutarsi, a contagiare l’economia reale.

Abbiamo quindi Stati europei che hanno dovuto chiedere aiuto al sistema europeo perché la loro economia non riusciva a reggere il debito che era stato creato o che la bolla immobiliare aveva creato alle loro strutture finanziarie e bancarie. Mi riferisco all’Irlanda e alla Spagna che hanno questi problemi dal punto di vista della bolla immobiliare, ma anche alla Grecia, al Portogallo e alla stessa Italia che hanno dei problemi derivanti dall’alto valore del debito pubblico. Quindi si tratta di un dato negativo aggiuntivo, perché difficilmente smaltibile dal mercato e certamente difficilmente smaltibile dalla struttura statale pubblica.


Il primo intervento risale al 2010, al 2 maggio 2010, quando la Grecia chiese appunto l’intervento. Ricordo, quindi, il 2 maggio 2010, oggi siamo al 18 luglio 2012 e il problema Grecia non è ancora risolto. Quindi, i metodi con i quali è stata affrontata la crisi vengono certificati dalla Grecia, dalla situazione greca, come non risolutivi e, pertanto, di più si sarebbe dovuto fare e lo spiegherò successivamente. L’Irlanda, anch’essa, alla fine del 2010, il Portogallo nel 2011, la Spagna quest’anno, alla quale è stato concesso il pareggio di bilancio un anno successivo a quello che si era precedentemente ipotizzato.


Quindi, questo certifica un’Unione europea debole, senza un’azione di risoluzione veloce e soprattutto concreta. Dico azione concreta e veloce perché, rispetto alla velocità con la quale, per esempio, il Presidente Obama degli Stati Uniti d’America è intervenuto nel suo continente, è differente perché in quel caso lui disse: “ciò che non compra il mercato lo compra la FED”. I mercati, quindi, si sono trovati abbastanza in contropiede perché hanno trovato una struttura politico-economica in grado di contrastare la loro azione speculativa, mentre qui in Europa l’impossibilità della BCE di trattare i mercati così come fa la FED ha creato queste situazioni embrionali di soluzione molto lente, perché la struttura degli interventi passa attraverso le richieste degli Stati, passa attraverso un comitato che deve riunirsi, che deve decidere, che deve verificare, che deve controllare se vengono fatti gli adempimenti richiesti.
Quindi, c’è tutto un meccanismo molto burocratico, molto lungo che ovviamente non viene creduto dai mercati e soprattutto non può contrastare i mercati che ovviamente continuano a vincere sulla politica, a vincere sugli Stati.

Quindi, un interventismo maggiore della BCE potrebbe essere risolutivo.
Io volevo impostare questo mio intervento attraverso la posizione di determinate questioni, almeno tre questioni. La prima è la questione democratica. Si parla, come dicevo prima, in un silenzio assordante dei media nazionali. Stiamo cedendo pezzi di sovranità nazionale molto di più quasi di quelli derivanti da una secessione di parte del Paese perché non abbiamo più la programmazione economica. Sono almeno tre i bilanci preventivi e tre le finanziarie che abbiamo discusso in questo Parlamento e che non sono nate qui dentro, ma sono state recepite attraverso gli obblighi di una lettera della BCE che, tra l’altro, l’anno scorso non si riusciva neanche a rendere pubblica. C’è stato tutto un dibattito sulla possibilità o meno di rendere pubblica la lettera che l’ex Ministro Tremonti ricevette dalla BCE e che poi è stata attuata un prezzo dal Governo precedente e attualmente dal vostro. Il metodo è stato quello di cancellare le province, di tagliare le pensioni di anzianità, di tagliare i servizi e la spesa sanitaria, di tagliare le spese agli enti locali, di aumentare l’IVA.
Sono tutte scelte che supinamente noi, il Parlamento, e voi avete supinamente accettato per rientrare nei parametri che l’Unione europea richiedeva. Unione europea, però, che non è il Parlamento europeo, formato da euro deputati eletti come noi, ma dalle commissioni, dai tecnici. Addirittura oggi voi, al Senato, avete proposto l’emendamento, che ovviamente passerà, secondo cui il titolare dell’apertura del debito, per poter finanziare il MES, non è più il Ministero dell’economia e delle finanze, ma il dirigente della struttura tecnica legata al debito pubblico.
Quindi, anche questo potere politico di decidere se attivare o non attivare il debito viene demandato ai tecnici. Quando si dice che la politica viene ad essere surrogata dai tecnici, questo ne è un esempio concreto e ne è un esempio anche di sfavore rispetto al peso che hanno i mercati nei confronti della politica. Questa cessione anche di potere da parte del Ministero dell’economia e delle finanze verso i tecnici ne esalta, purtroppo, queste qualità negative che ha il mercato.


La Lega ha proposto un referendum, non si può fare, però si sarebbe potuto modificare le norme che impediscono la posizione di un referendum su questi trattati che, tra l’altro, sono dei trattati sui generis perché sono dei patti intergovernativi.
Anche questo ne rende meno solide la natura stessa e l’efficacia. Abbiamo proposto una legge di iniziativa popolare perché tutte le norme che cedono sovranità nazionale vadano con il canale delle modifiche costituzionali con una doppia lettura parlamentare (due votazioni alla Camera e due al Senato), proprio per dare un peso politico forte e per aprire un dibattito forte sul tema della sovranità nazionale.
Come dicevo, è una oligarchia intergovernativa di tecnici che andrà a decidere e che tra l’altro andrà a decidere sulla pelle dei cittadini perché, ad ogni intervento della Commissione, c’è una finalità da raggiungere da parte dello Stato. Ho già citato le pensioni e il taglio agli enti locali, per esempio. Tutti questi tecnici, oltre a essere tecnici nominati dai Governi, hanno anche una serie di immunità che neanche noi parlamentari eletti dal popolo abbiamo all’interno delle azioni e delle prerogative proprie del nostro mandato.


Abbiamo una perdita dell’identità nazionale molto spinta, che certifica un’Europa non politica e non dei popoli, ma dei tecnici, dei banchieri e dell’economia. Abbiamo posto delle questioni di verifica costituzionale. Da noi, però, tutto passa in cavalleria. Fortunatamente la Germania, che è l’unico Stato che di questi trattati ne può trarre squisitamente un beneficio di fatto, è l’unico Paese che ha messo in discussione, attraverso il ricorso alla propria Corte, la possibilità costituzionale di approvare questi trattati. È un paradosso: avremmo dovuto farlo noi, che siamo la parte maggiormente lesa dei grandi Stati europei a ratificare questi trattati, mentre lo fa l’unico Stato che trae giovamento dall’applicazione del fiscal compact e del MES.


Vi è poi una seconda questione, quella finanziaria. Il MES, questo meccanismo europeo di stabilità, ha 700 miliardi di valore, 80 miliardi versati, 620 miliardi di capitale richiamabile. Per noi sono 125 miliardi suddivisi in 14,3 miliardi in cinque rate. Noi ne daremo subito due entro la fine dell’anno e 111 entro sette giorni in maniera irrevocabile e incondizionata a richiesta. Quindi, anche a questo proposito ci troviamo in una situazione, visti i bilanci che purtroppo dobbiamo sopportare, di capire come si riuscirà a garantire di fatto la liquidità necessaria che verrà richiesta. Tra l’altro, la richiesta viene avanzata irrevocabilmente e in maniera incondizionata senza sapere a priori a chi poi sarà destinata. Potrebbero essere 111 miliardi dati a terzi, dei quali potremmo non usufruirne, e che chiaramente andrebbero a impoverire la nostra economia.


Il pareggio di bilancio previsto dal fiscal compact, che tra l’altro abbiamo anche votato come Lega Nord ed è già passato qui in questo Parlamento in doppia lettura come modifica costituzionale, va bene. Il pareggio di bilancio è un’idea logica: non si può vivere e programmare a debito. Chiaro è che però, se pareggio di bilancio deve essere, pareggio di bilancio deve essere per tutti: per lo Stato, per le regioni e per i comuni. Quindi, basta Regione siciliana, basta comune di Catania, basta il dissesto del comune di Taranto, basta con tutti questi dissesti che ovviamente «pantalone» deve continuare a pagare. Qui dentro purtroppo abbiamo dovuto anche noi votare due anni fa soldi a Catania, soldi a Palermo e via discorrendo. Questo non può più esistere. Quindi, se pareggio di bilancio deve essere, deve essere per tutti e, soprattutto, bisogna dare responsabilità a tutti gli eletti negli enti locali affinché ci sia una corresponsione fra il mandato elettorale e la verifica finanziaria e fiscale di ciò che hanno prodotto attraverso le loro azioni amministrative e politiche.
Abbiamo posto una domanda al Ministro dell’economia Grilli oggi in Commissione, ma ha eluso la risposta e ha detto che avrebbe risposto all’onorevole Crosetto in separata sede nei corridoi. È una cosa un po’ particolare, perché sappiamo tutti che un ventesimo all’anno per raggiungere il 60 per cento nel rapporto tra deficit-PIL si aggira intorno ai 40 miliardi, 14 miliardi li dobbiamo mettere per il MES.
Il 2 per cento di decrescita del PIL vale, più o meno, 20 miliardi. Il tutto fa un totale di 74 miliardi. Sarebbe interessante capire dove il Governo e questa maggioranza pensano di trovare questi 74 miliardi. Quindi, ringrazio lei, Ministro, di essere qui presente. Però, quello di cui stiamo discutendo, oltre a essere una questione di politica estera europea, è squisitamente anche un problema di economia, perché tutto nasce da un pareggio di bilancio e da un rapporto tra debito pubblico e PIL che è tutto economico e ha poco di politica estera. Quindi, sarebbe stata interessante la presenza anche del settore economico del Governo che qui lei rappresenta.

 

Un MES che ha questi fondi, di cui abbiamo discusso, lo consideriamo un po’ misero da un punto di vista numerico. Prendiamo in considerazione che ha la possibilità di gestire ipoteticamente 700 miliardi di euro. Tuttavia, teniamo presente che noi dobbiamo, solo come Italia, rientrare di almeno 600 miliardi e la Spagna di almeno altri 200 miliardi di euro. Quindi, già solo Spagna e Italia vanno a coprire totalmente le possibilità del MES. Quindi, vi è un problema anche in questo senso sul lavoro che stiamo discutendo. Ecco, quindi, che vi è la necessità di dare la possibilità al MES di avere maggiori risorse, non certo provenienti da una maggiore tassazione o da un maggior prelievo da parte degli Stati membri.


Un altro problema che noi evidenziamo è quello istituzionale. Quindi, vi è il problema democratico, quello relativo alla questione finanziaria e poi quello istituzionale. Il problema istituzionale è dato dal fatto che non è un trattato ma sono dei patti intergovernativi che, ovviamente, hanno il peso che possono avere. Perché nasce questo problema dell’inesistenza di un trattato? Nasce perché vi è la volontà di mantenere in vita o di costruire un’Europa senza la cessione di sovranità nazionale. Ma è impossibile costruire un’Europa senza la cessione di sovranità nazionale. Quindi, vi è tutta una procedura di stesura di normativa per coordinare le politiche economiche europee senza, però, avere gli Stati uniti d’Europa.
Dunque, vi è questa contraddizione in termini. Si è costruito il six-pack, il two-pack, il fiscal compact, che sono tutti – mi si passi la parola – dei palliativi che servono a surrogare la mancanza, appunto, di una politica comune economica, di una politica bancaria unitaria, di una politica fiscale unitaria, di uno Stato europeo unitario. È questo che manca, ed è per questo che i mercati, malgrado tutte le iniziative che vengono messe in campo, continuano ad avere il sopravvento. Manca questa unità che ovviamente gli Stati nazionali non vogliono dare. La Germania vorrebbe allargarsi, ma è chiaro che la Francia non vuole cedere. Non capiamo bene cosa vuole fare l’Italia, perché il dibattito di oggi e la presenza al dibattito di oggi certifica il disinteresse quasi totale. Stiamo parlando, appunto, di cessione di sovranità in campo di approvazione di bilanci e di programmazione macroeconomica e finanziaria di un Paese ed è chiaro che questo argomento dovrebbe riscuotere un maggiore interesse.
Dicevo, appunto, dell’unione fiscale, monetaria, bancaria e politica. Devono essere superati questi nodi. Quali sono le soluzioni propositive che facciamo? In ordine al MES riteniamo che debba avere licenza bancaria, in modo tale da poter chiedere direttamente alla BCE. Questo, tuttavia, non è stato previsto. In ordine all’automatismo ricordo che la Merkel non lo vuole, ma sarebbe molto importante per dare delle risposte concrete ai mercati, così come ha fatto Obama, come ricordavo prima. Se non vi sono compratori compra la Fed. Così dovrebbe valere lo stesso automatismo: se lo spread sale sopra i 400 punti diviene automatico l’intervento del MES. È chiaro che, quindi, i mercati sanno che vi è un blocco politico ed economico che evita, appunto, le loro possibilità di vittoria.


La BCE dovrebbe mettere un po’ di liquidità, una maggiore quantità di moneta sul territorio. Deve cambiare lo statuto. Adesso lo statuto della BCE parla squisitamente di rigore contro l’inflazione.


È nata per questo la Banca centrale europea, non ha possibilità di politiche attive finanziarie e monetarie – come la Federal Reserve invece ha – e sarebbe opportuno rivedere anche questo. Draghi dice prima mettetevi d’accordo politicamente che poi i soldi li troviamo. Ci sono molti tasselli che devono essere uniti, ma bisogna capire che l’intervento, anche in questi campi, è importante.


Concludo con una riflessione politica, ovviamente della mia visione politica. L’unione fiscale di fatto si sta costruendo, l’Unione monetaria c’è già perché abbiamo tutti l’euro, l’unione bancaria per noi sarebbe un problema, la vigilanza bancaria andrebbe a mettere in parità banche come le nostre che sono strutturalmente sane e banche che non lo sono come quelle spagnole, legate al mondo della bolla immobiliare. L’unione politica è quella della sovranità nazionale che viene ad essere persa. Abbiamo una devoluzione dei poteri verso l’alto e ovviamente una devoluzione dei poteri verso i territori, lo Stato nazionale, se continua ad esserci la moneta unica, diventerà superfluo e inesistente. Paradossalmente quindi con l’euro viene ad essere ucciso lo Stato nazionale per dare vigore all’unità europea e ai territori, alle regioni, alle macroregioni, alle euroregioni alle quali noi guardiamo. Quindi diciamo che molto probabilmente la Padania la farà l’euro piuttosto che un referendum nazionale.
Signor Ministro, non è un voto contro l’Europa quello che esprimeremo noi domani,. Europa sì, ma non l’Europa delle banche e dell’economia ma un’Europa dei popoli e delle regioni (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

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